Il primo giorno dell’opera di Dio

Le due acque e i due cieli

Giorno 2, cupola della Genesi. Basilica di San Marco, Venezia (XIII secolo). C’è uno spazio tra le acque di sopra e le acque di sotto, il cielo interiore della nostra realtà spirituale che orienta il nostro spirito verso la fonte della vita che scende dall’alto, il cielo spirituale della presenza divina e angelica.

Il secondo passo nell’opera di Dio che consiste nel condurci dalle tenebre alla luce è creare un legame con la vita, non solo quella che anima il nostro corpo, ma anche quella spirituale. Così il testo ebraico dell’opera di Dio parla di due acque: una sopra il cielo e una sotto, sulla terra. Tutto il linguaggio della Bibbia ci fornisce immagini che ci aiutano a cogliere la realtà spirituale che non possiamo vedere a prima vista. Ad esempio, quando si parla della terra, la parola terra, Adamah in ebraico, è vicina alla parola Adam, che si riferisce all’uomo. Questa terra ha quindi bisogno di acqua, di essere collegata a una fonte di vita, sia fisicamente che spiritualmente. Si parla quindi di due acque, una delle quali viene dall’alto, dal cielo. Quest’acqua rappresenta il legame che si crea tra Dio e la sua creatura, il legame a cui ci fa accedere la speranza dell’amore incondizionato. Se, innanzitutto, nel primo giorno, l’essere umano può credere nell’amore, nel gesto d’amore che dà vita al mondo, allora sarà in grado di connettersi con la fonte da cui può attingere tutta la felicità e la pace. La luce del primo giorno ci aiuta a scoprire la fonte di ogni felicità nella relazione d’amore che ci lega a Dio e al prossimo. Le acque del secondo giorno rappresentano questo legame, che diventa vivo attraverso l’amore per il prossimo alimentato dal legame con la stessa fonte di vita a cui tutti attingiamo. Si crea un cielo interiore, uno spazio nella nostra vita, la vita dello spirito sarà ciò che unisce gli esseri umani. L’amore è la fonte della vera vita; viene dall’alto, come le acque che scendono sulla terra e che possiamo finalmente accogliere con fiducia. Allo stesso modo, il testo biblico ci parla di due cieli, quello che vediamo con gli occhi e quello che si accende dentro di noi, il cielo in cui il nostro spirito, il nostro amore, ci unisce gli uni agli altri. (Per un’analisi più approfondita del testo biblico, vedere il secondo giorno nell’articolo Genesi 1,1 – 2,3 I sette giorni, tappe dell’amore)

Le tappe della vita di Gesù

Epifania, Battesimo di Cristo

Nell’antica tradizione, ancora oggi in vigore nella Chiesa ortodossa, si celebravano contemporaneamente tre eventi della vita di Cristo: l’Epifania, il Battesimo di Cristo e il miracolo delle nozze di Cana. Questo per dimostrarci che, sebbene la divinità di Cristo non fosse stata rivelata a tutti, Cristo voleva rendersi vicino a :

1.gli altri popoli, culture e religioni, qui rappresentati dai magi d’Oriente e dagli umili pastori (durante l’Epifania).
2. gli esseri umani che si sono riconosciuti peccatori e sono andati da Giovanni Battista a chiedere il perdono di Dio (nel Battesimo di Cristo).
3. l’umanità intera, invitando ogni essere umano a entrare in una relazione d’amore con Dio e con il prossimo (nelle Nozze di Cana).
Di seguito esamineremo i primi due episodi e lasceremo la festa delle nozze di Cana al momento in cui le nozze tra Dio e l’umanità saranno consumate, realizzate, al momento della crocifissione. (Vedi le nozze di Cana nell’articolo sulle nozze).

L’Epifania

L’adorazione dei saggi dall’Oriente. Mosaico di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Maria in Trastevere (XIII secolo). Gesù accoglie e benedice i doni dei Magi d’Oriente, annunciando che è venuto per riunire uomini e donne di ogni lingua, popolo, nazione e religione. I saggi portano doni che annunciano l’opera che Cristo compirà in questo mondo: 1. l’oro, che è il dono offerto al re, perché Gesù sarà vittorioso sul male e stabilirà il suo regno nei nostri cuori. 2. L’incenso è l’offerta fatta a Dio, perché in Gesù si manifesta la presenza divina (significato della parola epifania). 3. La mirra, un profumo per onorare il corpo del defunto, perché è attraverso la sua morte che Gesù rivelerà al mondo l’amore divino.

“Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode il Grande. Ed ecco che vennero a Gerusalemme dei saggi dall’oriente e chiesero: ‘Dov’è il re dei Giudei che è appena nato? Abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad adorarlo”. Quando il re Erode lo seppe, ne fu sconvolto e con lui tutta Gerusalemme. Chiamò a raccolta tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e chiese loro dove sarebbe nato il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così ha scritto il profeta: ”E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei certo l’ultima delle città principali di Giuda, perché da te verrà un capo che sarà il pastore del mio popolo Israele”. Allora Erode convocò i saggi in segreto per dir loro quando era apparsa la stella; poi li mandò a Betlemme, dicendo loro: “Andate e informatevi sul bambino. E quando l’avrete trovato, venite a dirmelo, perché anch’io possa andare ad adorarlo”. Quando sentirono ciò che il re aveva detto, si misero in cammino. Ed ecco che la stella che avevano visto a oriente li precedeva, finché si posò sul luogo dove si trovava il bambino. Quando videro la stella, si rallegrarono con grande gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, cadendo ai suoi piedi, lo adorarono. Aprirono i loro scrigni e gli presentarono doni d’oro, incenso e mirra. Ma, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, se ne tornarono al loro paese per un’altra strada. “(Matteo 2, 1-12)

In cerca di luce e di verità, i saggi vengono dall’Oriente, pronti a riconoscere la presenza di Dio, non nel potere, ma in un umile bambino. Questo bambino può accogliere persone di ogni lingua, popolo, nazione e credo, senza fare alcuna distinzione. Egli sarà vittorioso sul male che divide gli uomini, come simboleggia il dono regale dell’oro offerto dai Magi, ma il suo regno è spirituale ed è nel cuore di ogni persona che si esercita questa vittoria. È la manifestazione dello sguardo di Dio su ciascuna delle sue creature, pieno di misericordia, ed è attraverso il dono dell’incenso che viene significata la sua divinità. Come si rivelerà all’umanità la gloria della presenza di Dio, che è come nascosta in questo piccolo bambino? Sarà quando Gesù sarà pronto a dare prova del suo amore anche per i suoi nemici sulla croce. Sarà pronto ad accettare la morte per amore, e questa morte è annunciata dal dono della mirra, un unguento profumato per onorare il corpo del defunto, in questo caso per onorare il corpo di Cristo che ha sofferto la passione per noi. Ancora due volte il Vangelo parla del prezioso balsamo che gli fu offerto: durante la Settimana Santa, intuendo la sua imminente morte, Maria, sorella di Lazzaro, versò un prezioso balsamo sui piedi di Gesù, e la mattina della Risurrezione le sante donne discepole di Gesù si recarono al sepolcro con il balsamo per onorare il suo corpo. L’iscrizione latina sotto l’immagine ricorda questo triplice dono:
Gentibus ignotus stella duce noscitur infans in presepe iacens celi terreque profundi conditor atque magi myrram thus accipit aurum. Sconosciuto ai popoli, grazie alla stella guida, diventa noto il bambino che giace nella mangiatoia, creatore delle profondità del cielo e della terra e dai magi riceve mirra incenso e oro”.

Il battesimo di Cristo

Battesimo di Cristo, Battistero ortodosso di Ravenna (V secolo). Giovanni Battista versa su Gesù l’acqua del Giordano. Gesù si è abbassato unendosi alla folla che andava a chiedere perdono per i propri peccati. Ma la Bibbia ci ricorda spesso che chi si umilia sarà esaltato, così quando Gesù viene battezzato si sente una voce dal cielo che dice: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto”. (Matteo 3:17). E lo Spirito Santo di Dio sta sopra di lui sotto forma di colomba, immagine dell’amore divino.

“Allora Giovanni, il Battista, apparve nel deserto. Proclamò un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Tutta la Giudea e Gerusalemme andarono da lui e si fecero battezzare da lui nel Giordano, riconoscendo pubblicamente i loro peccati. Giovanni era vestito di pelli di cammello, con una cintura di cuoio intorno alla vita; mangiava locuste e miele selvatico. Proclamò: “Ecco, viene dopo di me uno che è più forte di me; io non sono degno di abbassarmi e di sciogliere il legaccio dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”. In quei giorni Gesù venne da Nazaret in Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. E subito, uscendo dall’acqua, vide i cieli aperti e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. Ed ecco una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto””. (Marco 1, 4-11)

Il battesimo di Cristo. Mosaico nella basilica di Saint-Maurice, opera di Madeline Diener, Svizzera.

Come i profeti dell’Antico Testamento, anche Cristo ha annunciato ciò che avrebbe compiuto con un gesto che rappresenta l’opera di Dio, venuto a salvare l’umanità e a condurla dalle tenebre alla luce. Gesù, che è il Figlio e la Parola di Dio attraverso la quale è stato fatto il mondo, assumendo la nostra condizione umana, accetta di confondersi con i peccatori. Si mescola alla folla di persone che stanno per chiedere a Dio il perdono dei loro peccati attraverso Giovanni Battista. E così scese al Giordano, il cui nome deriva dal verbo “scendere” e che si trova, di fatto, sotto il livello del mare. Questo ci ricorda l’acqua che è in basso, che scorre sulla terra, menzionata nel secondo giorno della creazione. (Vedi articolo Genesi 1, 1 – 2, 3 I sette giorni, le tappe dell’amore). Quest’acqua è un’immagine dello spirito umano, che deve essere vivificato da una relazione con la fonte della vita divina. Gesù si immergerà in questa umanità, accettando di poter essere confuso con un qualsiasi peccatore. Rischierà la vita per noi, perché terrà nascosto lo splendore e la gloria della sua divinità, per dimostrarci fino in fondo l’autenticità e la gratuità del suo amore per noi. Immergersi nell’acqua significa che accetterà di morire per noi. L’essere sommerso dall’acqua diventa un’immagine del male che viene sconfitto, che muore, inghiottito dall’acqua, ma anche, per il fatto di risalire, riemergere dall’acqua, viene rappresentata la vittoria sul male e sulla morte. L’acqua di questa umanità, lo spirito umano che accoglie l’amore di Dio, che accoglie l’amore che Gesù ci rivela, è vivificato dall’acqua, accoglie l’acqua dall’alto, l’acqua che viene a fecondare la terra, ad annaffiarla, a riportarla alla vita. L’acqua che scende dal cielo è l’immagine dello spirito di Dio che ci dà la vita. La terra, adamah in ebraico, rappresenta l’essere umano, Adamo, che riceve la vita dall’alto, che riceve la pioggia dall’alto, entra in relazione filiale con Dio, riscopre il rapporto di fiducia in colui che ci dà la vita, che ci riempie del suo amore. Vediamo anche in molte immagini antiche del battesimo di Cristo, l’acqua che sale verso Cristo per accoglierlo e ricevere la sua grazia, immaginedell’umanità che accoglie il suo Salvatore. E i pesci nell’acqua rappresentano le persone che hanno trovato la vita attraverso la fede, attraverso il battesimo. I primi cristiani dicevano: siamo i pesciolini che seguono il grande pesce che è Cristo, nell’acqua abbiamo trovato la vita e nell’acqua dimoriamo per conservarla. Infatti, Cristo disse ai suoi apostoli: “Seguitemi e vi farò diventare pescatori di uomini”. (Matteo 4, 19) e anche: “Il regno dei cieli è simile a una rete che viene gettata in mare e tira fuori ogni sorta di pesci”. (Matteo 13, 47).

Il Battesimo di Cristo, coppa reliquiario, Abbazia di Saint-Maurice, Svizzera (XIII secolo). Le acque salgono verso Gesù per essere benedette da lui, immagine dell’umanità che riscopre il legame di amore filiale con Dio, fonte di vita. Nella tradizione cristiana, i pesci rappresentano coloro che hanno trovato la vita nelle acque del battesimo, seguendo Cristo.

Così l’apostolo San Paolo riassume l’opera di Cristo, che è venuto a stare con l’umanità, correndo tutti i rischi, come un pastore che viene a salvare la pecora smarrita e la trova vicino a un precipizio. Si è immerso nella nostra umanità, assumendola fino alla morte, per rivelarci il suo amore per noi: “Cristo Gesù, avendo la condizione di Dio, non custodì gelosamente il rango che lo rendeva uguale a Dio. Ma spogliò se stesso, assumendo la forma di servo, diventando simile agli uomini. Riconosciuto come uomo dal suo aspetto, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato, conferendogli il nome che è al di sopra di ogni nome, perché al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è il Signore”, a gloria di Dio Padre”. (Filippesi 2, 6-11).
E parlando del battesimo, San Paolo ci dice: “Nel battesimo siete stati sepolti con lui e siete stati risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Voi eravate morti perché avevate commesso i peccati e non avevate ricevuto la circoncisione nella vostra carne. Ma Dio vi ha dato la vita per mezzo di Cristo e ci ha perdonato tutti i nostri peccati. (Colossesi 2, 12-13).

La Settimana Santa

Gesù rovescia le tavole dei mercanti del Tempio

Gesù rovescia le tavole dei mercanti del Tempio. Mosaico del Duomo di Monreale, Italia (XII secolo). Gesù vuole introdurci alla relazione filiale con Dio, alla gratuità di questa relazione, un puro scambio d’amore. Vuole ribaltare la nostra mentalità commerciale, che pensa di poter conquistare l’amicizia degli altri solo pagandoli, comprando il loro favore. Il padre dice al figlio: “Non sai che tutto ciò che è mio è tuo? Così Gesù ci invita ad andare a Dio in tutta umiltà, con le nostre debolezze e i nostri errori, perché ci mostri la sua misericordia, la gratuità del suo amore, che non tiene conto dei nostri meriti.

Tutti gli evangelisti raccontano che, dopo essere entrato a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, Gesù si recò al Tempio per rovesciare i tavoli dei mercanti. Ecco il racconto di San Giovanni: “Quando fu vicina la Pasqua, Gesù salì a Gerusalemme. Nel Tempio trovò i trafficanti di buoi, pecore e colombe e i cambiavalute. Fece una frusta di corde e li scacciò tutti dal Tempio, insieme alle pecore e ai buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute, rovesciò i loro banchi e disse ai venditori di colombe: “Portate via questo da qui. Smettete di fare della casa del Padre mio una casa di commercio”. I suoi discepoli si ricordarono che è scritto: L’amore della tua casa sarà il mio tormento”. Alcuni Giudei gli chiesero: “Che segno ci dai per fare questo? Gesù rispose: “Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere”. I Giudei replicarono: “Ci sono voluti quarantasei anni per costruire questo santuario e tu lo farai risorgere in tre giorni! Ma egli stava parlando del santuario del suo corpo. Così, quando risuscitò dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo; credettero alle Scritture e alle parole che Gesù aveva pronunciato. Mentre si trovava a Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome a causa dei segni che compiva”. (Giovanni 2, 13-23).
Questo gesto è di grande importanza e gli evangelisti Matteo, Marco e Luca precisano che Gesù lo compì appena entrato a Gerusalemme, durante la Settimana Santa. Ora, ciò che Gesù ha fatto durante la Settimana Santa, l’ultima della sua vita, riassume tutta la sua opera, come se rendesse visibile ciò che Dio ha compiuto nella sua opera creatrice, secondo il racconto della Genesi, che descrive le diverse tappe attraverso le quali Dio conduce l’umanità dalle tenebre alla luce. (Vedi articolo Genesi 1, 1 – 2, 3 I sette giorni, tappe dell’amore). Qui siamo alla seconda tappa, quella che ci mostra l’acqua che è in basso, che è sulla terra, e l’acqua che è in alto, che scende dal cielo. È l’acqua della nostra umanità, l’acqua del nostro spirito che ritrova la vita quando riscopre il rapporto fiducioso e filiale con Dio. In questo modo, l’umanità scopre la fonte della vita nell’atto d’amore di Dio, che ci offre la sua stessa vita, così come Gesù sulla croce ci rende visibile questo atto d’amore di Dio dando la sua vita per noi. Si tratta di riscoprire la fede che ci permette di avere un rapporto di fiducia con Dio. Secondo il racconto della Genesi, gli esseri umani hanno rotto il loro rapporto di fiducia con Dio. Invece di vedere Dio come colui che ci dà tutto, che ci dà la vita, cioè il suo stesso spirito, il suo stesso respiro, per farci a sua immagine e somiglianza, gli esseri umani non osano credere alla gratuità di questo amore. L’umanità è prigioniera del rapporto commerciale: ti do per ricevere. Non osiamo credere all’amore gratuito: se qualcuno dà qualcosa, è per ricevere qualcosa in cambio. Eppure Dio è amore e amore gratuito (è la parola carità, in greco χάρις, grazia kháris, che esprime questo amore gratuito). Quando diamo perché ci rallegriamo della felicità degli altri, facciamograzia, cioè condividiamo la nostra felicità, la nostra gioia per accoglierla negli altri, così la nostra gioia si moltiplica. Questo è il gesto creativo di Dio, il suo desiderio che la sua stessa gioia sia sperimentata dagli altri e, vedendoci felici, la sua stessa gioia si moltiplica. È la gioia dei genitori nel sorriso del bambino, tutta la fatica che hanno fatto per lui è ricompensata, sono felici della sua felicità, la loro gioia è al massimo. La nostra vera e più grande gioia viene dalla contemplazione della felicità degli altri, del nostro prossimo. Quello che ci dice l’inizio del libro della Genesi (vedi l’articolo Genesi 3, 1-24) è che un dubbio, un sospetto, rappresentato dal serpente, si è insinuato nella mente umana: “Dio non vuole che siamo come lui, non ci fa accedere alla sua felicità”, così il serpente incoraggia Eva, che rappresenta tutta l’umanità, a disobbedire: “Dio sa che nel giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dei, conoscendo il bene e il male”. ” (Genesi 3, 5). Credere che Dio ci nasconda la sua felicità e che non voglia che siamo come lui è l’esatto contrario di ciò che Dio ha voluto quando ci ha dato la vita, quando ci ha dato la sua stessa vita: che fossimo la sua immagine, perfettamente somiglianti a lui, cioè che potessimo sperimentare l’amore perfetto, la gioia più grande, perché Dio è amore e ci dice, con le parole stesse di Gesù: “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e che la vostra gioia sia completa. La mia prescrizione è questa: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di colui che rimette la propria anima per coloro che ama”. (Giovanni 15, 9-13). Dio è amore e noi rimaniamo in Lui gustando la gioia più grande attraverso l’amore più grande che possiamo offrire al nostro prossimo, il dono della nostra stessa vita. Questo ci renderà pienamente felici e la vita trasmessa al prossimo sgorgherà in noi come una fontana, una fonte di gioia. Va notato anche che la parola comandamento non traduce il vocabolario usato nella Bibbia. Il testo ebraico parle delle “parole” di Dio rivolte all’umanità per guidarla verso la luce, non dice “comandamenti”. Nei Vangeli Gesù usa la parola entolē (ἐντολή) che contiene la parola télos (τέλος) la meta, la perfezione, indicando ciò che ci porta alla perfezione, alla pienezza.

Così, il Tempio mostra la relazione che l’umanità ha con Dio: una relazione commerciale, non una relazione di fiducia, di amore filiale. Poiché l’umanità dubita della benevolenza di Dio, del suo amore gratuito, ha bisogno di comprare questo amore per garantirsi la sua benevolenza, il suo favore. A seconda dei beni a disposizione, alcuni offriranno una colomba, un agnello o addirittura un bue, obbligando così Dio a restituire il favore, come se Dio avesse bisogno dei nostri beni, come se ci avesse dato la vita per ricevere qualcosa in cambio, per essere pagato. La presenza dei mercanti nel Tempio testimonia così l’errore dell’umanità, che si è tagliata fuori da un rapporto di fiducia con Dio, che non osa credere alla gratuità del suo amore. Eppure i profeti lo avevano detto spesso, e Isaia lo afferma subito, all’inizio del suo libro: “Che m’importa di quanti sacrifici fate? – dice il Signore. Ne ho abbastanza di olocausti di montoni e del grasso dei vitelli. Non mi piace il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri. Quando verrete davanti a me, chi vi chiederà di calpestare i miei campi? Smettete di portare offerte vane; aborro il vostro incenso. I noviluni, i sabati, le assemblee, non sopporto più questi crimini e queste feste. Odio i vostri noviluni e le vostre solennità: sono un peso per me e sono stanco di portarlo. Quando tendete le mani, distolgo lo sguardo. Per quante volte preghiate, non vi ascolto: le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate le vostre azioni malvagie dalla mia vista, smettete di fare il male. Imparate a fare il bene: cercate ciò che è giusto, richiamate all’ordine l’oppressore, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova. Venite e parliamo”, dice il Signore. Se i vostri peccati sono come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve. Se sono rossi come il vermiglio, diventeranno come la lana”. (Isaia 1, 11-18)

E anche nella preghiera dei Salmi: “Se offro un sacrificio, tu non lo accetti; non accetti un olocausto. Uno spirito contrito è il sacrificio che piace a Dio; un cuore contrito e affranto, o mio Dio, tu non lo rifiuti”. (Salmo 50, 18-19)

Così, quando Gesù rovescia i tavoli dei mercanti, ci mostra che è venuto a rovesciare questa mentalità mercantile: quando vogliamo entrare in relazione con Dio, non è per comprare la sua benevolenza, così lo offendiamo e ci tagliamo fuori dalla vita, dalla relazione filiale. Gesù ci invita a riscoprire la vera natura di Dio, l’origine stessa della vita che abbiamo ricevuto come dono d’amore. Così, se lo abbiamo offeso, se lo abbiamo disprezzato, se abbiamo sospettato di lui, ci invita a ritrovarlo, a chiedergli perdono, a tornare a lui. Gesù ci mostra questo atteggiamento misericordioso di Dio: anche se ci siamo rivoltati contro di lui, anche se lo abbiamo offeso, egli ci mostrerà misericordia, ci accoglierà con gioia. Gesù ci dice che il vero Tempio dove siamo in relazione con Dio, il luogo della nostra unione con lui, è dentro di noi. Come quando disse che il suo corpo è il Tempio di Dio, anche per noi il luogo in cui viviamo il nostro legame filiale di amore e fiducia in Dio è dentro di noi. Così Gesù ci invita a trovarlo, a confidare nella gratuità del suo perdono, nel dono infinitamente ripetuto della sua vita, perché per-donare significa dare, donare ancora e ancora (vedi anche l’articolo La gratuità dell’amore). “Vi dico che qui c’è qualcosa di più grande del Tempio. Se aveste capito cosa significa: voglio misericordia, non sacrificio, non avreste condannato coloro che non hanno fatto nulla di male. Perché il Figlio dell’uomo è il Signore del sabato”. (Matteo 12, 6-8). E ancora: “Andate e imparate cosa significa: Voglio misericordia, non sacrifici. Perché non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Matteo 9, 13). Così chi si riconosce peccatore troverà misericordia, sarà accolto e il suo ritorno sarà festeggiato, come ci dice Gesù nella parabola del figliol prodigo che, allontanatosi dal Padre, è atteso e accolto con grande festa (vedi l’articolo Luca 15, 11-32 Il figliol prodigo e gli articoli legati al tema dell’amore gratuito di Dio citati alla fine di questo articolo).

San Paolo può dire: “Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi” (1 Corinzi 3:16). Non ci resta che riscoprire la nostra fiducia filiale in Dio, riscoprire la fonte della nostra vita nel gesto d’amore gratuito di Dio. Questo è il significato del battesimo: l’acqua è la fonte di vita che ci lega tutti e ci rende tutti figli dello stesso Padre.

La relazione con Dio e con il prossimo

La sorgente di vita

La croce, albero della vita nel giardino dell’Eden. Basilica di San Giovanni in Laterano, Roma (XIII secolo). Entrando nella basilica dall’adiacente battistero, i neobattezzati si trovavano di fronte a questa immagine, che riassume il loro ingresso nella vita eterna, nel rapporto filiale con Dio, nel Paradiso terrestre. Al centro della croce, infatti, si trova l’immagine del battesimo di Cristo da parte di Giovanni Battista, che rappresenta il suo abbassamento e il dono del suo amore all’umanità. In alto, dal becco della colomba che rappresenta lo Spirito Santo, scorre il fiume d’amore che irrigherà la terra attraverso la croce. È l’acqua dall’alto che il battezzato accoglie, segno della sua relazione con la fonte divina della vita. È a proposito di questa fonte che il Libro della Genesi dice che un fiume uscì dall’Eden, dal Paradiso, e si divise in quattro fiumi, i cui nomi sono scritti in questo mosaico accanto a ciascun fiume. Il significato del battesimo per i cristiani è quindi chiaro: l’albero della vita di cui si parla profeticamente nel libro della Genesi è la croce da cui sgorga il fiume dell’amore dal costato di Cristo per irrigare tutta la terra. Nel momento in cui riconosciamo l’origine della nostra vita, entriamo nella vita eterna. In fondo all’immagine, i cervi si abbeverano alla sorgente: “Come un cervo assetato cerca l’acqua viva, così l’anima mia cerca te, mio Dio”. (Salmo 41, 2). Ai piedi della croce si trova la Gerusalemme celeste, le cui colonne portano le teste degli apostoli, perché è stata la loro testimonianza a dare accesso a questa fonte che riconcilia tutti gli uomini nello stesso amore fraterno. L’ingresso della Gerusalemme celeste è sorvegliato da un serafino che porta la parola di Dio e il Vangelo agli uomini e, sopra di esso, dalla fenice, l’uccello che risorge dalle sue ceneri, che rappresenta la risurrezione di Cristo e la nuova vita offerta a coloro che sono stati battezzati.

Questa è l’immagine che si offre alla vista dei neobattezzati quando escono dal battistero con le candele accese durante la veglia pasquale ed entrano finalmente nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Questo antico mosaico rappresenta il paradiso terrestre che Cristo ha reso accessibile agli esseri umani. Secondo il racconto del Libro della Genesi, il sospetto dell’umanità nei confronti di Dio l’ha separata da lui e ha interrotto il rapporto di fiducia filiale. (Per il racconto dell’Eden nella Genesi, si vedano gli articoli: Genesi 2, 4-14 Eden, Genesi 2, 15-25 Creazione della donna e Genesi 3, 1-24 Il peccato). In questo modo, la Parola di Dio, a cui gli esseri umani non sono in grado di credere, diventa carne in Gesù Cristo. L’opera creatrice di Dio diventa visibile, il dono della sua vita all’umanità si concretizza nella prova d’amore che Gesù offre accettando la morte e la morte in croce. La certezza del suo perdono, incondizionato per tutta l’umanità, ci apre la strada verso Dio. Abbiamo visto il suo volto misericordioso e possiamo confidare che, nonostante i nostri errori, non ci abbandonerà; al contrario, è pronto a rischiare la vita per ciascuno di noi. Ora è possibile comprendere le Scritture profetiche, la Parola di Dio, capire la dimensione eterna delle parole di Dio. Infatti, le parole del Libro della Genesi, che riassumono la storia del nostro rapporto con Dio, in quanto parole di Dio sono immutabili e quindi valide per tutta la storia dell’umanità, perché Dio non conosce cambiamenti e nemmeno la sua Parola. Così queste antiche parole sull’albero della vita in mezzo al Paradiso possono essere comprese anche in termini di albero della croce, il legno morto su cui Cristo ha offerto la sua vita al mondo, il legno da cui è scaturita la vita. Infatti, il libro della Genesi, 2, 10, dice che “un fiume uscì dall’Eden per irrigare il giardino, e da lì si divise e divenne quattro capi…”. E il testo prosegue indicando il nome di ciascuno dei fiumi in cui il fiume della vita si divide per irrigare il mondo: Gihon, Pishon, Tigri ed Eufrate, come è scritto accanto a ciascuno dei fiumi che scaturiscono dalla croce gloriosa, la croce dell’albero della vita nel mosaico dell’abside di San Giovanni in Laterano. Se osserviamo attentamente l’immagine, vediamo un fiume che nasce dalla colomba che rappresenta lo Spirito Santo, che nel secondo versetto della Genesi si librava sulle acque per infondere loro lo Spirito divino (vedi articolo Genesi 1, 2 Ruah – Lo Spirito di Dio è femminile), che dà vita al mondo e gli trasmette l’amore di Dio. È pieno di tenerezza, come una colomba che raccoglie i suoi piccoli sotto le ali, li nutre infondendo loro il suo amore, ha occhi di grande bellezza perché vede il volto di Dio, lo riconosce in Cristo e in ogni essere umano figlio di Dio, figlio suo. Per questo la croce di Cristo, luminosa perché segno di vittoria sul male e sulle tenebre, è attraversata da un fiume che nasce dalla colomba. Questa vittoria sul male e sulla morte è stata ottenuta grazie alla sovrabbondanza di amore e di misericordia, al perdono offerto a ogni essere umano. Solo così si è aperta una breccia nei cuori induriti dell’umanità. Gesù lo ha detto bene, facendo eco alle parole del profeta Isaia: “Chi crede in me, come dice la Scrittura, dal suo ventre sgorgheranno fiumi di acqua viva”. (Giovanni 7, 38). (Sul tema della sorgente di acqua viva, si veda l’articolo: Giovanni 4, 1-42 La sorgente di acqua viva). La croce è dunque il vero albero della vita di cui si parla nel libro della Genesi, al quale possiamo accedere attraverso la fede, cioè attraverso la fiducia filiale che possiamo riporre in Dio. L’essere umano che può chiamare Dio “Padre” è animato dallo spirito di amore filiale, lo stesso Spirito Santo che dà vita al mondo, come dice San Paolo: “Quanti infatti si lasciano guidare dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. Non avete ricevuto uno spirito che vi rende schiavi e vi riporta alla paura, ma avete ricevuto uno Spirito che vi rende figli; ed è in lui che gridiamo “Abbà”, cioè: Padre! È dunque lo stesso Spirito Santo che attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio”. (Romani 8, 14-16). Questa fede si esprime nel battesimo, quando l’essere umano proclama che la fonte della vita, la fonte della sua vita, è in Dio e che questa vita è offerta a ogni essere umano. Riconosce quindi di essere fratello di una moltitudine di persone di ogni lingua e credo, ed è per questo senso di fratellanza che osa rivolgersi a Dio e chiamarlo Padre nostro. La preghiera del Padre Nostro che Gesù ha trasmesso agli apostoli è stata trasmessa ai neobattezzati al momento del battesimo, ed è riconoscendosi figlio di Dio e riconoscendo il resto dell’umanità come suoi fratelli e sorelle che potrà dire “Padre Nostro”.

Il legame tra il battesimo e la croce è chiaramente visibile in questo mosaico: al centro della croce c’è un medaglione che raffigura Gesù che viene battezzato da Giovanni Battista. Fu allora che lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, aleggiò su Gesù e la voce dal cielo dichiarò: “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. (Luca 3, 22). Queste parole sono ora rivolte a ogni battezzato, ed è possibile entrare in Paradiso fin da ora, riscoprendo la relazione filiale che ci unisce a Dio, come ci invita a fare Gesù: “Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ”In verità vi dico: se non vi trasformate e non diventate come i bambini, non entrerete mai nel regno dei cieli. Ma chi si fa piccolo come questo bambino è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie un bambino come questo nel mio nome, accoglie me”. (Matteo 18, 2-5). Il giorno del battesimo è quindi considerato dai cristiani come il giorno dell’ingresso nel Paradiso, nella vita eterna, nel Regno dei Cieli”. In effetti, la vita eterna, cioè la presenza dell’amore di Dio in noi, è iniziata quando abbiamo accettato il suo perdono. Pieni di gratitudine, gli esseri umani sono pieni di amore, perché hanno misurato la portata della misericordia di Dio e quindi il suo amore ora abita in loro. Tuttavia, dobbiamo rimanere in questo amore, perché “non si entra nel regno dei cieli dicendo: ‘Signore, Signore’, ma facendo la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7, 21), cioè mettendo in pratica questa fede, amando il prossimo come noi stessi, perché, secondo la nostra fede, il prossimo è nostro fratello. In questo modo, rimaniamo nell’amore, nella vita eterna di Dio. Allora il Regno di Dio, quel luogo, quella Gerusalemme celeste dove siamo tutti uno, quella città dove siamo tutti fratelli e sorelle, uniti dallo stesso amore, scende nei nostri cuori. Gesù stesso ci dice: “Perché ecco, il regno di Dio è dentro di voi”. (Luca 17, 21). Per questo, ai piedi della croce, l’albero della vita, troviamo l’immagine della Gerusalemme celeste: nella croce, Dio offre la sua vita all’umanità, che ritrova la fiducia e la fede in Dio, e questa fede, espressa nel battesimo, fa dell’intera umanità un popolo di fratelli e sorelle. È questa realtà spirituale che si chiama Gerusalemme celeste e la vediamo rappresentata ai piedi della croce, con le pareti dorate, le colonne con le teste degli apostoli che hanno trasmesso la fede e la porta sorvegliata da un serafino, l’angelo che arde d’amore di Dio. È solo attraverso l’amore che entriamo in questa realtà spirituale, quando accogliamo in ogni essere umano un fratello o una sorella. E al centro della Gerusalemme celeste, nel mosaico, vediamo un albero, l’albero della vita, e sopra questo albero un uccello, la fenice, l’animale che risorge dalle sue ceneri, vittorioso sul male e sulla morte.

Frase del Padre Nostro

Sia santificato il tuo nome

Gesù nelle acque del Giordano. Mosaico della chiesa di Santa Pudenziana, Roma (IV secolo). Gesù è la Parola di Dio che rivela il suo amore al mondo immergendosi nella nostra umanità. In questo modo, anche gli esseri umani che hanno riscoperto la fiducia in Dio, animati dallo stesso amore, potranno dare la stessa testimonianza d’amore al mondo, immergendosi nell’umanità fino a dare la vita. Il battesimo è una testimonianza del dono della propria vita, un’espressione del più grande amore. In questo modo, i fedeli, coloro che hanno avuto fiducia, saranno come le pecore che formano un unico gregge, raffigurate in fondo al mosaico. Berranno anche dalle acque del Giordano, il cui nome è scritto ai piedi di Gesù e che indica il fatto di scendere, di abbassarsi, fino a dare la vita.

Il mosaico dell’abside della chiesa dedicata a Santa Prassede a Roma mostra Cristo nelle acque del Giordano con il rotolo della Parola di Dio in mano. È questa Parola di Dio che si è fatta carne in lui e ha vissuto l’amore di cui ci parla la Bibbia nella sua persona, fino a dare la vita. Parlando del battesimo, disse agli apostoli che volevano sedere alla sua destra e alla sua sinistra in cielo: “Potete bere il calice che io sto per bere, essere battezzati con il battesimo in cui io sto per essere immerso? Gli risposero: “Possiamo”. Gesù disse loro: “Berrete il calice che sto per bere e sarete battezzati con il battesimo in cui sto per essere immerso”. (Marco 10, 38-39). Quando parla del calice, Gesù parla del sangue che stava per versare, e quando parla del battesimo che stava per ricevere, parla della sua testimonianza di amore per l’umanità, della sua disponibilità a immergersi nella nostra umanità, fino ad accettare il rischio della morte. E annuncia che anche gli apostoli arriveranno a testimoniare, a fare dono della propria vita per amore del prossimo. Questo è il dono dello Spirito di Dio che li riempirà di un amore come quello di Dio: avendo visto come Dio ci ama, questo amore che essi contemplano li riempie e li rende un riflesso della gloria di Dio in questo mondo. Sono diventati tempio dello Spirito Santo. E Gesù li incoraggia di fronte alle persecuzioni che, come lui, dovranno affrontare: “Quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di quello che direte o di come lo direte: tutto quello che avrete da dire vi sarà dato in quel momento. Non sarete infatti voi a parlare, ma lo Spirito del Padre vostro che parlerà in voi”. (Matteo 10, 19-20). Così Gesù trasmette la sua parola ai suoi apostoli, il che significa che lo Spirito d’amore di Dio abita anche in loro. Infatti, in molte rappresentazioni antiche, vediamo Cristo che passa il rotolo della parola di Dio agli apostoli, come in questa immagine in cui Pietro e Paolo sono alla destra e alla sinistra di Cristo, tendendo le mani per ricevere e accogliere la sua parola e, allo stesso tempo, per presentargli le sante Pudenziane e Prassede che hanno offerto la loro vita come testimonianza di amore per il prossimo. La tradizione elogia le opere di carità di queste due sorelle, che sono considerate sante. È così che dobbiamo intendere le parole del Padre Nostro: “Sia santificato il tuo nome”. Infatti, Gesù parlando degli apostoli parla di santificazione: “Santificali nella verità: la tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, così io ho mandato loro nel mondo. E per loro santifico me stesso, perché anch’essi siano santificati nella verità. Non prego solo per coloro che sono qui, ma anche per coloro che crederanno in me attraverso la loro parola. Che siano tutti una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io sono in te. Che siano anch’essi una cosa sola in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. (Giovanni 17, 17-21). Se gli apostoli sono santi, tramite le loro opere di carità glorificano il Padre che ha dato loro la vita, proprio come i genitori sono orgogliosi se i loro figli sono lodati. In questo modo, la testimonianza d’amore dei fedeli rivela al mondo la gloria di Dio Padre: vedendo come si amano, il mondo vedrà l’amore di Dio e darà gloria a Dio. La richiesta del Padre nostro significa quindi che vogliamo santificare il nome del Padre mettendo in pratica la fede del battesimo, seguendo lo Spirito d’amore di Dio e manifestandolo al mondo. In questo modo, il volto di Cristo e il suo amore si rifletteranno nei suoi discepoli, che diventeranno anch’essi la luce del mondo, conducendo l’umanità verso la fonte della vita, verso l’amore per Dio e per il prossimo.