Il 6° giorno dell’opera di Dio
Gli animali terrestri e la coppia umana

Il 6° giorno, cupola della Genesi. Basilica di San Marco, Venezia (XIII secolo). Gli animali terrestri rappresentati a coppie e l’essere umano di aspetto scuro perché è terreno, fatto della polvere della terra, ma chiamato ad essere un figlio di Dio, un figlio della luce. Completerà l’opera di Dio unito a Dio, unito nel legame d’amore della coppia, sarà condotto dalle tenebre alla luce dell’amore per il prossimo.
Il sesto giorno, l’opera di Dio è completata. È l’opera del Dio Trino, colui che è una relazione d’amore, che crea con la Sua Parola e dà la vita con il Suo stesso Spirito, con il Suo stesso respiro. In altre parole, vivere la vita di Dio significa amare e amare come Lui ci ama. Per condurci a questa perfezione dell’amore, la Sua Parola diventa carne. Infatti, è la Sua Parola che esprime perfettamente il Suo desiderio di condividere la Sua gioia, ed è per questo che la Sua Parola è creatrice: per diffondere il Suo amore agli altri, affinché la gioia di vedere la felicità delle creature possa completare e portare l’amore alla perfezione moltiplicandosi. La gioia condivisa è una gioia moltiplicata. Tutto nell’opera di Dio ci parla di moltiplicazione. Questa gioia che si diffonde tra le creature è la gioia dell’amore portato alla perfezione, perché Gesù ci dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per coloro che amiamo”. (Giovanni 15, 13). Questa è la volontà di Dio, il suo più grande desiderio: che noi siamo felici, proprio come i genitori desiderano la massima felicità per i loro figli. Se gli esseri umani non avessero dubbi su questo, si lascerebbero guidare dalla volontà di Dio, proprio come un bambino piccolo si fida dei suoi genitori amorevoli. Si tratta quindi di unire due volontà, di avere fiducia. Questo è l’obiettivo dell’opera di Dio, e il sesto giorno ci dirà esattamente questo: perché tutto questo, tutta quest’opera, è molto buona. Infatti, dopo le prime cinque tappe, attraverso le quali Dio ha portato la creazione alla perfezione, concludendo ogni volta che era buona, dirà che è molto buona quando completerà la sua opera. Infatti, questa tappa rivela l’obiettivo raggiunto: tutto è molto buono perché tutto è stato portato alla perfezione attraverso l’amore. Finalmente, l’essere umano è in grado di dominare e guidare gli animali terrestri, che si muovono sulla terra, verso le realtà celesti. Ancora una volta, questi animali sono l’immagine dei nostri vizi e delle nostre virtù, ma ora il testo ci dice che l’essere umano sarà in grado di condurli alla perfezione. Vediamo in cosa consiste questa perfezione. È che nell’essere umano c’è l’immagine e la somiglianza di Dio. Dio, che è amore, diventa visibile attraverso l’amore della coppia: l’uomo e la donna sono stati creati a Sua immagine e somiglianza. È la parola somiglianza che ci parla della perfezione, del completamento dell’opera, perché tutto ciò che è stato creato a immagine possiede la capacità di essere pienamente somigliante, ma essere a immagine non implica ancora la piena somiglianza. Infatti, l’immagine di qualcuno, la sua somiglianza, potrebbe non essere fedele al suo modello. Essere all’immagine non significa ancora una somiglianza perfetta. Quindi ci vorranno diverse tappe per portare ciò che è all’immagine fino alla piena somiglianza. L’intera storia dell’umanità ci parla dell’opera di Dio, che consiste nel portarci alla piena somiglianza con Lui, al più grande amore. E Dio compie quest’opera attraverso Suo Figlio, la Sua Parola. “Io e il Padre mio siamo sempre all’opera”, ci dice Gesù. È attraverso la testimonianza dell’amore che tutte le creature saranno portate alla perfezione. (Per maggiori informazioni, vedere il 6° giorno nell’articolo Genesi 1, 1 – 2, 3 I sette giorni, tappe dell’amore).
Le tappe della vita di Gesù e la Settimana Santa
Il Venerdì Santo

La Croce, Albero della Vita, Chiesa di San Clemente, Roma (XII secolo). Cristo, vivo e in pace sulla croce, offre la vita di Dio e l’amore di Dio al mondo. Come la vera vite che dà vita ai tralci. La mano del Padre in cima alla croce, è Lui il vignaiolo che può condurre tutto al bene, che fa in modo che gli uomini e le donne che lo amano portino frutto. In questo modo, il rapporto di fiducia filiale con Dio viene ripristinato e il paradiso è di nuovo aperto all’umanità, che ora vive in prossimità di Dio, placata e perdonata. Il fiume di vita dell’amore di Dio irriga la terra nelle quattro direzioni, come descritto nel libro della Genesi.
Il sesto giorno delle tappe dell’opera di Dio ci dice come quest’opera sia portata alla perfezione dalla coppia umana che rivela l’immagine di Dio al mondo. Questa immagine consiste nella relazione d’amore che anche gli esseri umani sono in grado di vivere, con la stessa intensità di Dio, nella piena somiglianza. La coppia che porta frutto, la famiglia umana, è un chiaro riflesso dell’amore di Dio. Tuttavia, il testo della Genesi, che appartiene all’Antica Alleanza, è un annuncio della Nuova Alleanza. Si tratta di un testo profetico e Gesù spiegò a lungo agli apostoli come tutto ciò che viene proclamato negli antichi testi dei profeti annuncia l’opera che lui, il Messia, il Figlio di Dio, compierà. Si tratta di testi profetici il cui pieno significato sarà rivelato dalla Sua morte e risurrezione. Quindi è proprio il sesto giorno della Settimana Santa, quando Gesù offrirà la sua vita sulla croce, che questa immagine della coppia sarà portata alla sua piena somiglianza; è a partire da questo sesto giorno della Settimana Santa che questa coppia sarà in grado di portare frutto, moltiplicarsi e quindi riflettere ancora di più l’amore di Dio in tutta la sua grandezza. Infatti, quando la Bibbia parla dell’essere umano Adamo, non si riferisce solo al nostro antenato nella storia, ma soprattutto a Cristo stesso, che conduce l’opera della creazione al suo compimento.
Vediamo come lo spiega l’apostolo San Paolo:
“La Scrittura dice: Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente; l’ultimo Adamo – Cristo – divenne l’essere spirituale che dà la vita. Ciò che viene prima non è lo spirituale, ma il fisico; solo dopo viene lo spirituale. Il primo uomo era fatto di argilla e veniva dalla terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come Adamo era fatto di terra, così gli uomini sono fatti di terra; come Cristo è celeste, così gli uomini saranno celesti. E come siamo stati fatti a immagine di Colui che è dalla terra, così saremo fatti a immagine di Colui che viene dal cielo”. (1 Corinzi 15, 45-49).
San Paolo parla anche di Gesù come primogenito di ogni creatura, ricordandoci le parole di Giovanni Battista, il quale disse che sebbene fosse nato dopo di lui, era già prima di lui:
“Sarete rafforzati in ogni cosa dalla potenza della Sua gloria, che vi darà ogni perseveranza e pazienza. Con gioia renderete grazie a Dio Padre, che vi ha permesso di partecipare all’eredità dei santi nella luce. Strappandoci dal potere delle tenebre, ci ha posti nel Regno del Suo amato Figlio: in Lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito prima di ogni creatura: in Lui sono state create tutte le cose, in cielo e in terra. Gli esseri visibili e gli invisibili, Potestà, Principati, Sovranità, Dominazioni, tutto è creato da Lui e per Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte le cose sussistono in Lui. Egli è anche la testa del corpo, la testa della Chiesa: è il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Dio infatti ha ritenuto opportuno che in lui dimorasse tutta la pienezza e che per mezzo di Cristo tutte le cose fossero finalmente riconciliate con lui, facendo la pace per mezzo del sangue della sua Croce, pace per tutti sulla terra e nei cieli”. (Colossesi 1, 11-20).
Quindi, quando Gesù è sulla croce, è allora che Dio dà la sua vita all’umanità; ci mostra l’opera di Dio nel sesto giorno, la fase finale in cui gli esseri umani sono portati alla piena somiglianza con Dio, perché allora saranno in grado di accettare il suo amore, di entrare in una relazione fiduciosa e filiale con Lui e di portare frutto, cioè di riflettere il suo amore e la sua misericordia in questo mondo.
Quindi, guardiamo alle parole che Gesù ha rivolto all’umanità quando era sulla croce, quando ha offerto la sua vita, quando ha rimesso il suo spirito nelle mani del Padre affinché lo riversasse sull’umanità. Queste ultime parole ci ricordano anche le parole di Adamo nel secondo capitolo della Genesi, quando parla alla donna, Eva, il cui nome significa “colei che dà la vita”. Adamo chiamò sua moglie Eva (in ebraico ḥavvah significa colei che dà la vita) perché era la madre di ogni essere vivente” (Genesi 3, 20). Così Gesù, l’ultimo Adamo che conduce l’umanità alla pienezza dell’amore e vi infonde il suo spirito di vita, quando è sulla croce, si rivolge a sua madre, Maria, chiamandola “donna”:
“Gesù, vedendo sua madre e vicino a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Questa è tua madre””. (Giovanni 19, 26-27).
Gesù chiama sua madre donna perché attraverso di lei parla a tutta l’umanità. Maria, infatti, è l’immagine dell’umanità perfettamente unita a Dio, perfettamente fiduciosa. Non dubitò della parola di Dio secondo cui sarebbe stata la madre del Salvatore, anche se non conosceva uomo. Rispose: “Sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. Ma Dio agisce nei confronti dell’umanità come un fidanzato nei confronti della sua fidanzata: non può forzarla, la rispetta e aspetta il suo “sì”. Questo “sì” è finalmente arrivato dopo secoli, grazie a Maria, che si è fidata di Dio, che era pronta a fare la volontà di Dio perché non dubitava della sua benevolenza. In quel momento, la volontà divina si unì a quella umana e le due divennero una cosa sola. E questo è ciò che si realizza in Gesù, quando offre la sua vita sulla croce. La sera prima, nel Giardino degli Ulivi, aveva detto: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice; non la mia volontà, ma la tua volontà sia fatta” (Luca 22, 42). La volontà di Dio si compie finalmente sulla croce, dove ci dona la Sua vita, dove ci fa conoscere l’amore infinito che ha per le Sue creature, affinché le Sue creature ricevano la vita, entrino nella relazione divina trinitaria con la piena fiducia dei figli di Dio, fiducia di cui Gesù è stato il testimone. Così, Dio, compiendo la sua opera sulla croce, parla a Maria, che ha accettato il suo amore, aprendo la strada a tutta l’umanità per accettarlo a sua volta, e le trasmette la sua vita. La chiama donna e le affida Giovanni, che riceve anch’egli il dono dell’amore della vita divina e nasce in una nuova famiglia, alla quale siamo generati tramite la fede. Giovanni non è figlio di Maria tramite la carne e il sangue, ma tramite la fede. Attraverso la fede nell’amore di Dio, nasciamo tutti in una nuova vita, dove siamo tutti fratelli e sorelle, dove formiamo una nuova famiglia. “Gesù rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Poi, stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: “Questi sono mia madre e i miei fratelli. Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli è mio fratello, mia sorella e mia madre”. (Matteo 12, 48-50). Allo stesso modo, parlò agli apostoli, preparandoli a formare questa nuova famiglia che non conosce frontiere di lingua o di popolo, dicendo: “A tutti coloro che lo hanno ricevuto, ha dato il dono di diventare figli di Dio, che credono nel suo nome. Non sono nati da sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo: sono nati da Dio”. (Giovanni 1, 12-13). È attraverso lo spirito che avviene questa nuova nascita, attraverso la fede, attraverso la fiducia che possiamo riporre in Dio. È questo spirito che doveva essere rappresentato dall’acqua e dal sangue che sono sgorgati dal suo fianco, segno del fiume di vita dell’amore di Dio che scorre nelle quattro direzioni per irrigare il mondo. Quindi, proprio come è detto profeticamente che Eva nacque dal fianco di Adamo, è dal fianco trafitto e aperto dell’ultimo Adamo, Gesù Cristo, che nasce la nuova umanità. Coloro che erano ai suoi piedi, Maria e Giovanni, che ora formano una nuova famiglia, testimoniano: “Uno dei soldati gli trafisse il costato con una lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto rende testimonianza, e la sua testimonianza è vera”. (Giovanni 19, 34). L’evangelista San Giovanni, che quindi era lui stesso ai piedi della croce, continua la sua testimonianza raccontandoci le ultime parole di Gesù:
” Dopo questo, sapendo che tutto era ormai compiuto affinché la Scrittura si adempisse fino alla fine, Gesù disse: ‘Ho sete’. C’era un recipiente pieno di una bevanda all’aceto. Allora misero una spugna piena di aceto su un ramo di issopo e gliela portarono alla bocca. Quando ebbe preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto”. Poi, chinato il capo, abbandonò lo spirito”. (Giovanni 19, 28-30).
In questo modo, Gesù, avendo offerto e infuso la sua vita nell’umanità, potrà realizzare le parole di Adamo, che vide nella donna la madre di tutti i viventi. I viventi sono coloro che vivono della vita e dell’amore di Dio e diventano una nuova famiglia. Maria sarà l’immagine della Chiesa, il corpo di Cristo, che continua a trasmettere la Sua vita al mondo, generando nuovi esseri alla vita divina, proprio come Giovanni ha potuto nascere in questa nuova famiglia contemplando e accogliendo l’amore che Dio gli ha mostrato in Gesù sulla croce.
San Paolo ci parlerà anche di questa moltiplicazione, della trasmissione della vita divina al mondo, attraverso la fede, resa possibile dalla stessa testimonianza d’amore che gli apostoli e i fedeli porteranno al mondo, offrendo la loro vita a immagine e somiglianza di Cristo:
“Figli miei, voi che partorisco di nuovo nelle doglie fino a che Cristo non sia formato in voi.” (Galati 4, 19).
Nel versetto successivo, San Paolo ci parla di questa nascita che avviene nel dolore delle persecuzioni, proprio come è avvenuto per Cristo. Infatti, essendo diventato un membro del corpo di Cristo, porterà questa testimonianza d’amore al mondo, fino a dare la propria vita:
“Ora trovo gioia nelle sofferenze che sopporto per voi; ciò che resta da soffrire delle prove di Cristo nella mia carne, lo compio per il suo corpo, che è la Chiesa. Sono diventato un ministro di questa Chiesa e la missione che Dio mi ha affidato è di portare avanti per voi l’annuncio della Sua parola” (Colossesi 1, 24-25).
È per significare questo che Gesù sulla croce accetta di bere l’aceto amaro, accetta la sofferenza del parto, affinché l’umanità possa trovare una nuova nascita, una nuova vita.
Ancora una volta, San Paolo ce lo spiega:
“Poiché siamo suoi figli, siamo anche suoi eredi: eredi di Dio, eredi con Cristo, se almeno soffriamo con Lui per essere con Lui nella gloria. Credo che non ci sia paragone tra le sofferenze del tempo presente e la gloria che sarà rivelata in noi. Infatti, la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. Perché la creazione è stata sottoposta al potere del nulla, non di sua spontanea volontà, ma a causa di Colui che l’ha consegnata a quel potere. Tuttavia, ha conservato la speranza di essere liberata dalla schiavitù della degradazione, per sperimentare la libertà della gloria data ai figli di Dio. Come ben sappiamo, l’intera creazione sta gemendo, attraversando i dolori del parto che è ancora in corso”. (Romani 8, 17-22)
Per gli esseri umani, questa testimonianza del dono della propria vita non termina necessariamente con lo spargimento del proprio sangue. È anche a immagine di Cristo che offriamo quotidianamente la nostra vita al servizio del prossimo e nell’amore della nostra famiglia. Nella prossima sezione, vedremo come questo può abbracciare tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana e portare frutto.
La relazione con Dio e con il prossimo
Il matrimonio: l’Albero della Vita e le Nozze di Cana
Il matrimonio tra un uomo e una donna è l’immagine dell’unione tra Dio e l’umanità. Secondo le parole di San Paolo:
“Come dice la Scrittura: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne. Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. (Efesini 5, 31-32).
Per parlarci di questo mistero, per renderlo visibile, Gesù ci dà due immagini: la vite e l’acqua trasformata in vino. La vite ci mostra la relazione, la vita che si trasmette dal ceppo ai tralci; se i tralci sono uniti al tronco, la Sua linfa, il Suo amore li farà fruttificare con l’aiuto del vignaiolo. L’acqua, una volta ricevuto lo Spirito, l’alcol e il gusto del vino, assumetutto il suo sapore. Osserviamo queste due immagini, che ci parlano dell’unione tra Dio e l’umanità, un’unione che avviene in ogni momento della nostra vita, proprio come lo scambio e la comunione nello spirito e nel corpo che avviene in una coppia di sposi o in una famiglia.
L’Albero della Vita, la Vigna

Dettaglio della croce dell’Albero della Vita, Chiesa di San Clemente, Roma (XII secolo). Le scene della vita quotidiana sono circondate dalla presenza dell’amore di Dio. In ogni attività, l’amore per Dio e per il prossimo è vivo, e in ogni momento possiamo accogliere e vivere nello spirito d’amore di Dio. “Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto” (Giovanni 15, 5).
Nell’immagine qui sopra, vediamo che le fronde dell’albero della vita si estendono alle scene della vita quotidiana: tutto può essere fatto per amore, è la vita di Dio che trasforma gli esseri umani in ogni momento della loro esistenza. Qui vediamo una donna che nutre le galline, pastori, monaci che scrivono e tante altre attività che, lungi dall’impedirci di stare con Dio, al contrario lo esprimono, perché è Lui che è “la via, la verità e la vita” (Giovanni 14:6), Lui che è presente a noi in ogni momento.
Accettare la vita di Dio significa entrare in una relazione di fiducia con Lui, senza dubitare che la Sua volontà possa volere qualcosa di diverso dal nostro bene. Tutta la sua opera consiste nel farci portare frutto, e farcene portarein abbondanza. Portare frutto in questo mondo significa testimoniare la speranza e l’amore, essere un riflesso della luce di Dio, della sua misericordia per coloro che hanno bisogno di ricevere il suo amore. Vediamo come Gesù stesso ne parla:
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, il Padre lo toglie; ogni tralcio che porta frutto, lo purifica con la potatura, affinché porti più frutto. Ma voi siete già stati purificati dalla parola che vi ho detto. Rimanete in me, come io rimango in voi. Come il tralcio non può portare frutto da solo se non rimane nella vite, così nemmeno voi potete farlo se non rimanete in me. Io sono la vite e voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non rimane in me, è come un tralcio gettato via, che appassisce. Si raccolgono i rami secchi e si gettano nel fuoco, e bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. La gloria del Padre mio è che portiate molto frutto e che siate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete le mie prescrizioni, rimarrete nel mio amore, così come io ho osservato le prescrizioni del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa”. (Giovanni 15, 1-11).
In questo modo, la croce diventa un albero della vita, come vediamo nel mosaico della chiesa di San Clemente a Roma, qui sopra. Nei primi secoli, i cristiani non raffiguravano la croce con Cristo morto sopra. Raffiguravano l’albero della vita, perché il legno secco della croce era diventato una fonte di vita a cui ogni essere umano poteva attingere, ed era diventato la fonte inesauribile dell’amore di Dio. Ecco un estratto di un inno dedicato alla croce da Venanzio Fortunato (V secolo):
“Bell’albero splendente, luminoso di luce,
sei adornato di porpora reale;
Sei stato scelto come l’albero più degno
per portare questo corpo santissimo, per toccare le sue membra.
Felice croce su cui pende il riscatto del mondo,
per la quale l’inferno ha tremato nel suo impero.
Felice sei tu di portare questo frutto della vita e i popoli riuniti applaudono il tuo trionfo.
Ave, Santa Croce, nostra unica speranza!
Ave, altare che ha portato l’Agnello immacolato.
Per la grazia della Sua santissima Passione
La vita sopportò la morte e la morte diede la vita”.
E anche, in un’altra poesia di Venanzio Fortunato:
“Piantata vicino a un ruscello, ti mostri in tutto il tuo splendore,
e il tuo fogliame è ornato da fiori appena sbocciati.
Tra le sue braccia pende una vite
da cui sgorga un vino che è il rosso del sangue”.
Nel mosaico, le volute dell’albero della vita, che rappresenta la croce, circondano le scene della vita quotidiana, perché è lì che ogni persona accorda la propria volontà alla volontà di Dio. Infatti, Gesù ci dice: “Io sono la via, la verità e la vita” (Giovanni 14, 6), e questo significa che la vita ci offre in ogni momento l’opportunità di amare, servire il prossimo e fare la volontà di Dio. Quindi, quando il nostro prossimo non ci accoglie e richiede pazienza e sopportazione da parte nostra, anche questa è una prova d’amore.
La coppia è il luogo in cui questa esperienza di amore e di accettazione della vita è particolarmente intensa. Mettersi al servizio dell’altro, ascoltarsi a vicenda, implica una trasformazione della nostra vita; siamo chiamati a fare cose che non avremmo mai fatto se non ci fossimo legati a qualcun altro. Questo dà l’impressione di perdere noi stessi, di non ascoltarsi, di non fare nulla per noi stessi. Eppure questo è ciò che significa dare la propria vita, offrirla. Gesù dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. (Matteo 16, 24-25). Nel matrimonio, mettendoci al servizio dell’altro, offriamo a Dio, e quindi alla vita, l’opportunità di plasmarci, di trasformarci, di scoprire mille nuovi modi di amare, che non avremmo scoperto da soli. È così che Dio ci avvicina a sé, attraverso un amore più simile al suo, un amore che è in grado di amare ciascuna delle sue creature e di mettersi al servizio di tutte. Il nostro amore è molto più restrittivo, amiamo facilmente coloro che ci chiedono ciò che ci piace fare, ma amiamo meno ciò che ci porta a lasciare la nostra immagine di amore, i nostri progetti, i nostri piani d’amore, per scoprirne altri.
Nelle parole rivolte a Mosè, Dio ci consiglia di non farsi immagini scolpite, di non immaginarsi una somiglianza con le realtà celesti (Esodo 20, 4), perché Dio è amore. Le immagini che formiamo costantemente dell’amore, di ciò che dovremmo fare per amare, di ciò che immaginiamo essere il modo migliore per amare Dio e il nostro prossimo, possono in realtà essere illusorie, non rispondendo a ciò che Dio o il nostro prossimo si aspettano da noi. Quando Gesù ci dice che dobbiamo rinunciare a noi stessi, ci chiama a rinunciare a immaginare cosa potrei fare per Dio e per il mio prossimo e ad ascoltare le richieste e i bisogni concreti degli altri. Il rischio, infatti, è quello di immaginare ciò che potremmo fare per il nostro prossimo a nostro piacimento, in base a ciò che ci conviene, ma forse Dio, la vita, ci suggerisce di scoprire altre strade che non abbiamo immaginato, che forse non si adattano a noi, ma che corrispondono ai bisogni reali del nostro prossimo. Ora, la nostra vita è un cammino verso la scoperta dell’amore più grande, l’amore di Dio, la gioia più grande, ma ciò va oltre la nostra immaginazione, ci porta a scoprire qualcosa di diverso da noi stessi. Nella Bibbia, Dio ci dice spesso: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie. Come il cielo è al di sopra della terra, così le mie vie sono al di sopra delle vostre vie e i miei pensieri al di sopra dei vostri pensieri”. (Isaia 55, 8-9).
È vero che ci sono molti fraintendimentiin questo mondo, e anche Gesù non fu capito, non solo dalle persone in generale, ma anche dai suoi genitori e dai suoi apostoli. I Vangeli ci raccontano che all’età di 12 anni Gesù voleva rimanere nel Tempio di Gerusalemme per spiegare la Parola di Dio, ma i suoi genitori lo rimproverarono perché lo stavano cercando e si preoccupavano per lui. “Gesù disse loro: “Come mai mi avete cercato? Non sapevate che devo essere presso il Padre mio? Ma essi non capirono quello che stava dicendo loro. Scese con loro per andare a Nazareth e fu loro sottomesso”. (Luca 2, 49-51). Allo stesso modo, molto spesso quando parlava agli apostoli di realtà spirituali e celesti, essi non capivano. Non è Dio che ci fa attraversare queste prove, queste incomprensioni per cattiveria, ma ciò accade perché, purtroppo, l’umanità è nelle tenebre e, per portare un po’ di luce in questa oscurità, dobbiamo affrontare queste incomprensioni. Allo stesso tempo, questo dolore del disaccordo, del conflitto, può anche essere un percorso verso una maggiore gioia. Questa è la volontà del Padre: la gioia di vedere la felicità del nostro prossimo, la gioia di aver generato il nostro prossimo a nuova vita, di vederlo in pace: ciò sarà anche la nostra pace. In questo modo, l’esperienza dell’amore cresce in noi, e così la nostra gioia e anche la nostra fiducia. Gesù ci ricorda: “Questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che mi ha dato, ma li risusciti nell’ultimo giorno.” (Giovanni 6, 39).
Il matrimonio è un modo esemplare di esplorare la natura della relazione d’amore: come è possibile essere uno? Come è possibile che la gioia dell’altro diventi la mia gioia, o il dolore dell’altro il mio dolore? Si tratta di vivere una comunione, uno scambio nello spirito, che è anche lo Spirito d’amore che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in un unico Dio. Le persone sono diverse, eppure le loro volontà vogliono la stessa cosa. Quindi, nella nostra esperienza terrena, avremo sempre incomprensioni e divisioni, ma spesso dobbiamo accettarle e ritrovarci nel desiderio di amare l’altra persona nonostante tutto, nel desiderio della felicità dell’altra persona, che sarà una fonte di vita per noi stessi.
Così, il Venerdì Santo, ha luogo un vero matrimonio tra Dio e l’umanità. Dio si assume tutti i rischi per noi, se questo può condurci alla massima felicità, se può aiutarci a scoprire in cosa consiste l’amore, dove risiede la nostra gioia, la nostra fonte di felicità.
L’acqua trasformata in vino, le Nozze di Cana

Il miracolo di Cana, battistero della basilica di Saint-Maurice, Svizzera. Mosaico di Madeline Diener. Gesù trasforma le cinque giare d’acqua in vino: sono l’immagine dell’umanità trasformata dallo Spirito di Dio, dal Suo amore, in un vino delizioso. Il colore rosso del vino ricorda anche il sangue, la vita che Gesù ci ha offerto sulla croce. Questa prova d’amore permette all’umanità di ritrovare la fiducia nella benevolenza di Dio, e la coppa dell’alleanza si trova davanti alla coppia di fidanzati nella parte superiore dell’immagine. Rappresentano l’alleanza tra Dio e l’umanità, tra Cristo e la Chiesa. Questo miracolo preannuncia la cena di nozze dell’Agnello, l’umanità riconciliata e unita a Dio in un solo corpo e in un solo spirito.
Tutto questo Gesù lo ha annunciato con un gesto molto famoso, un miracolo che ha compiuto per parlarci, per darci un’immagine che ci aiuti a comprendere la natura di questa realtà spirituale in cui siamo uniti a Dio e diventiamo una cosa sola con Lui, proprio come nell’unione dell’uomo e della donna, i due diventano uno. Infatti, nel suo primo miracolo, a Cana, Gesù trasformò l’acqua in vino. Vediamo come questo miracolo ci dà un’immagine dell’unione tra Dio e l’umanità. Gesù, sua madre e i discepoli furono invitati a un matrimonio a Cana. Quando Maria si rese conto che non c’era più vino, chiese a Gesù di aiutare gli sposi. Ora, dovete sapere che dall’età di dodici anni, Gesù era rimasto sottomesso ai suoi genitori, poiché non gli avevano permesso di rimanere da solo a Gerusalemme per spiegare la Parola di Dio nel Tempio. Questo perché Dio, nel suo atteggiamento di rispetto per l’umanità, alla quale si rivolge come a una sposa, non può forzarla e imporle la sua volontà. Attende sempre il “sì”, il consenso dell’umanità a riceverlo. Maria è il primo essere umano ad aver accettato pienamente la presenza e la volontà di Dio, ad aver accettato di prendere parte al suo piano di salvezza per l’umanità. Quindi ha accettato di essere la madre di Gesù, ha detto sì alla proposta di Dio. Ma poi, come essere umano, cercò di capire al meglio come assumere questo compito. Sapendo che il bambino che aveva dato alla luce sarebbe stato un giorno vittima delle gelosie degli uomini, cercò di proteggerlo, tenendolo con sé a Nazareth. Infine, a Cana, di fronte all’angoscia umana, con gli sposi che avevano finito il vino, chiese a Gesù di intervenire, di fare qualcosa. Gesù si rivolse a lei chiamandola ‘donna’ e le disse: “Donna, cosa c’è tra te e me? In altre parole, se Gesù interviene miracolosamente a questo punto, sarà poi obbligato a lasciare sua madre e intraprendere il cammino che lo porterà alla condanna a morte. Maria è pronta a dire sì? A lasciare che suo figlio compia la volontà di Dio, a confidare completamente in quella volontà e in quel piano divino per venire in soccorso dell’umanità? La sua risposta è decisiva, perché rivolgendosi a lei, Gesù si rivolge a tutta l’umanità: vogliamo davvero che Dio venga a salvarci? Gesù ci spiegherà in cosa consisterà questo piano di salvezza, quest’opera di Dio per condurre l’umanità dalle tenebre alla luce. Ecco perché chiede a Maria: “Donna, cosa c’è tra me e te” (Giovanni 2, 4): è Dio che si rivolge all’umanità come alla Sua amata. Come ci spiegherà Gesù cosa c’è tra Dio e l’umanità, qual è la natura di questo legame? Questo ci sarà rivelato e annunciato dal miracolo dell’acqua trasformata in vino. Attraverso questo miracolo, Gesù annuncia ciò che Dio, nella sua persona, farà per salvarci; ci rivelerà la natura del legame d’amore tra Dio e l’umanità. È come un matrimonio in cui i due diventano uno, in cui la gioia dell’uno diventa la gioia dell’altro e il dolore dell’uno diventa il dolore dell’altro. L’umanità è come l’acqua: se quest’acqua è pronta ad accogliere e vivere dello Spirito divino, questo Spirito d’amore la trasformerà, proprio come l’alcol trasforma l’acqua e ne fa un vino delizioso. Ma questo vino sarà anche l’immagine del sangue, della vita che Dio offrirà per amore dell’umanità. È così che sarà in grado di trasformarci, di trasformare la nostra vita, quando crederemo nell’immensità dell’amore di Dio per noi. Quando vediamo che Lui è pronto a dare la sua vita per noi, indipendentemente dai nostri errori, allora è la gratitudine, la riconoscenza, che riempie i nostri cuori, allora anche noi siamo pieni di amore per Lui e osiamo credere nell’amore del Padre. Quando vedremo la vittoria dell’amore sul male e sulla morte, oseremo rischiare la nostra vita per amore, perseguiremo lo stesso amore. Quindi, ogni volta che ricordiamo il sacrificio di Cristo, prendiamo del vino e vi facciamo cadere una goccia d’acqua, per rappresentare l’umanità unita alla divinità in un unico spirito, in un unico corpo che non può più essere separato. È l’essere umano che è pienamente riempito di amore, un amore tanto grande quanto l’amore che Dio ha per noi. Trasformando l’acqua in vino, Gesù stava annunciando ciò che avrebbe compiuto per noi, annunciando il giorno in cui avrebbe trasformato la nostra umanità infondendo in essa il Suo Spirito, il Suo amore. Anche in quel giorno, sulla croce, si sarebbe rivolto a Sua Madre chiamandola “donna” e, dopo aver creato una nuova famiglia di fratelli e sorelle che ricevono la vita dalla stessa fonte divina, disse: “È compiuto” (Giovanni 19, 30), proprio come il sesto giorno, dopo aver condotto l’umanità dalle tenebre alla luce, “Dio vide tutto ciò che aveva fatto; ed ecco, era molto buono” (Genesi 1, 31).
Dicendo “sì” al miracolo di Cana, Maria accettò e accolse il piano e la volontà divina, permettendo così a Dio di venire in nostro soccorso. Da quel momento, Gesù intraprenderà la sua vita pubblica, lascerà la casa di sua madre e si esporrà all’umanità fuorviata, rischiando la vita. La coppa di vino sarà l’immagine del Suo sangue, della Sua vita offerta in sacrificio per noi. Durante il miracolo di Cana, disse a sua madre: “La mia ora non è ancora giunta” (Giovanni 2, 4). In altre parole, non è ora che offrirò la mia vita e realizzerò questo matrimonio, questa unione con l’umanità, ma intraprenderò questo cammino, annuncerò ciò che sono venuto a realizzare e, dato che sei pronta ad accettarlo, trasformerò quest’acqua in vino. Il Vangelo racconta che dopo aver assaggiato il vino che Gesù aveva detto ai servi di portare al padrone del banchetto, quest’ultimo, rivolgendosi agli sposi, esclamò: “Avete lasciato il vino migliore per ultimo, mentre tutti servono il vino migliore all’inizio del pasto”. In effetti, era la nostra umanità ad essere rappresentata dalle cinque giare d’acqua che furono trasformate in vino. Questo numero cinque ci ricorda i nostri cinque sensi, la nostra condizione umana, che trasgredisce costantemente i cinque libri di Mosè, che ci trasmettono le parole di Dio per guidare l’umanità: è solo accogliendo la pienezza dello Spirito di Dio, che viene a noi, che possiamo essere uniti a Lui e trasformati, acquisire e gustare il sapore di questo amore che noi stessi avremo messo in atto, proprio come i servi che riempirono le giare d’acqua e confidarono nella volontà di Gesù.
Proprio come alle nozze di Cana, Gesù venne in soccorso all’umanità per portare la gioia, affinché queste nozze celebrassero pienamente la gioia dell’unione compiuta, realizzata, tra Dio e l’umanità…
Come ci ricorda San Paolo: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due diventeranno una cosa sola. Questo è un grande mistero: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”. (Efesini 5, 31-32).

L’albero della vita, mosaico nella cappella dedicata a Santa Matrona, all’interno della chiesa di Santa Croce a San Prisco, vicino a Caserta, Italia. Dalla coppa dell’alleanza, contenente il sangue di Cristo, scaturisce l’albero della vita, la vite che porta frutti in abbondanza. La colomba rappresenta l’umanità che si è elevata alle realtà celesti e ha riconosciuto la presenza di Dio negli umiliati, nei diseredati, in Cristo. Gli occhi della sposa nel Cantico dei Cantici sono belli come quelli della colomba che, al riparo della roccia che è Cristo, ha contemplato il volto di Dio. La colomba è l’immagine della tenerezza dell’amore, di una relazione fiduciosa con Dio, l’immagine dello Spirito Santo che riconcilia il mondo con Dio, l’immagine della persona battezzata in cui dimora lo Spirito Santo.
Frase del Padre Nostro:
Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

La peccatrice perdonata, mosaico del Duomo di Monreale, Italia (XII-XIII secolo). Questa donna in cerca del perdono di Dio portò un prezioso vaso di alabastro pieno di mirra, il balsamo utilizzato per onorare i resti dei defunti. Era anche la mirra che i saggi dell’Oriente portarono alla nascita di Gesù. Rappresenta un omaggio, un ringraziamento a colui che offrirà la sua vita per noi. Accogliendo la donna peccatrice, Gesù espone la sua vita alla condanna e allo stesso tempo rivela la portata del suo amore.
Con questa domanda del Padre Nostro, accettiamo il perdono di Dio, cioè il dono infinitamente ripetuto del Suo amore. Per-donare significa ripetere il dono, dare ancora e ancora. Significa accettare il dono della vita divina, del Suo amore che ci trasforma, come l’acqua in vino; significa essere riempiti del Suo spirito. Allora il nostro amore sarà come il Suo, e anche noi saremo in grado di portare il Suo amore e il Suo perdono al mondo, di fare lo stesso con il nostro prossimo. Gesù ci spiega questa dinamica nell’episodio della donna che viene a chiedere perdono a Gesù:
“Un fariseo aveva invitato Gesù a mangiare con lui. Gesù entrò nella sua casa e si sedette a tavola. Arrivò una donna dalla città, una peccatrice. Quando seppe che Gesù era seduto a tavola nella casa del fariseo, portò una bottiglia di alabastro contenente del profumo. Piangendo, si mise dietro di Lui, vicino ai suoi piedi, e cominciò a bagnare i piedi di Gesù con le sue lacrime. Li asciugò con i capelli, li baciò e vi versò sopra il profumo. Quando il fariseo che aveva invitato Gesù vide questo, disse a se stesso: “Se quest’uomo fosse un profeta, saprebbe chi è questa donna che lo sta toccando e cosa è: una peccatrice”. Gesù prese la parola e gli disse: “Simone, ho qualcosa da dirti. – Parla, Maestro. Gesù disse: “Un creditore aveva due debitori; uno gli doveva cinquecento pezzi d’argento, l’altro cinquanta. Nessuno dei due poteva ripagarlo, così li perdonò entrambi. Chi dei due lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui è stato perdonato il debito maggiore”. – Hai ragione”, gli disse Gesù. Si girò verso la donna e disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non hai versato acqua sui miei piedi; lei li ha bagnati con le sue lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Non mi hai baciato; lei non ha smesso di baciare i miei piedi da quando è entrata. Tu non hai unto il mio capo; lei ha versato del profumo sui miei piedi. Ecco perché vi dico: i suoi peccati, i suoi molti peccati, sono perdonati, perché ha mostrato un grande amore. Ma colui al quale è perdonato poco, mostra poco amore”. Così disse alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati”. Gli ospiti cominciarono a dirsi: “Chi è quest’uomo che arriva a perdonare i peccati? Allora Gesù disse alla donna: “La tua fede ti ha salvato. Vai in pace” (Luca 7, 36-50).
Gesù fu invitato a mangiare da un fariseo, esperto della legge ebraica, responsabile dell’ordine religioso, che voleva trovare argomenti contro di Lui, per accusarlo e condannarlo in tribunale. Ma una donna di cattiva reputazione entrò a forza nella casa e coprì i piedi di Gesù con dei baci, e Gesù la lasciò fare. Questa è la prova che il fariseo stava cercando: Lui è un amico delle prostitute, ecco perché questa donna si è permessa una tale confidenza. Quando la donna vedrà l’atteggiamento dei Farisei che accusano Gesù, si renderà conto di quanto Gesù la ami; ha veramente rischiato la sua vita per accoglierla, ha rischiato la sua vita per lei. Ricevere un tale gesto d’amore non può che trasformarci; sentirsi amati ci riempie di amore, riconoscimento e gratitudine, e anche noi vorremmo fare qualcosa per la persona che ci è stata vicina, vorremmo renderla felice come noi. La gioia condivisa si moltiplica. E Gesù ci mostra questo ordine di cose attraverso le sue parabole e le sue parole. Colui a cui è stato perdonato di un grande debito non sarà più grato? Proprio come Gesù guarì questa donna bisognosa di amore? Le offrì un gesto d’amore che non avrebbe osato sperare da nessuno, lei che era disprezzata da tutti e la cui dignità umana non era rispettata. È attraverso la sovrabbondanza del suo amore che Gesù guarisce la nostra mancanza d’amore. È così che realizza questa unione tra Dio e l’umanità, questo matrimonio, dicendo sulla croce alle stesse persone che lo stavano crocifiggendo e insultando: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. (Luca 23, 34).