Il 1° giorno dell’opera di Dio

La luce

Giorno 1, Cupola della Genesi. Basilica di San Marco, Venezia (XIII secolo). La luce brilla nell’oscurità. Questa è l’opera di Dio: condurre l’umanità dalle tenebre alla luce. Nel testo della Genesi, questa è la prima parola di Dio, la prima cosa che esprime il suo desiderio di farsi conoscere, di farsi vedere, affinché l’umanità, che non crede nel suo amore gratuito, possa vedere il suo vero volto. Soprattutto, è la luce spirituale dell’amore di Dio che viene a visitarci e a dissipare i nostri dubbi. È Gesù che accetta di entrare a Gerusalemme, dove sarà messo a morte. È nella sua morte che l’umanità potrà contemplare la gloria di Dio, l’immensità del suo amore e del suo perdono.

Il primo passo che conduce l’umanità dalle tenebre alla luce è quello che ci fa intravedere l’amore più grande, l’amore gratuito di Dio, che ci dà la vita perché vuole che scopriamo la gioia di amare come ama Lui. Questo amore non tiene conto degli errori che commettiamo o delle offese che commettiamo, ma è pronto a perdonare, all’infinito. Quando gli esseri umani possono sperare in un possibile perdono, in un gesto d’amore gratuito, allora possono vedere una luce nell’oscurità. (Per un approfondimento vedere l’articolo I sette giorni, fasi dell’amore, il primo giorno).

Le tappe della vita di Gesù

Avvento e Natale

Natività, mosaico della chiesa della Martorana, Palermo (XII secolo). Un raggio di luce collega la stella a Gesù bambino, sottolineando che Egli è venuto a portare la luce nelle tenebre, e il testo greco recita: La genesi di Cristo, l’inizio dell’opera di salvezza per l’umanità. L’asino e il bue accanto a lui annunciano i popoli riconciliati che vengono a mangiare nella stessa mangiatoia, e il piccolo bambino nella mangiatoia annuncia già che nutrirà il mondo con il suo amore e il suo corpo. Secondo la tradizione ebraica, il bue, un animale puro, rappresenta la discendenza di Abramo, secondo la carne, ma Gesù ha offerto la sua vita per tutti ed è tramite la fede che siamo divenuti discendenti di Abramo. D’altra parte, l’asino era considerato impuro secondo la tradizione ebraica e rappresenta gli altri popoli. Gesù è venuto per riconciliare tutti i popoli. I pastori ascoltano gli angeli che annunciano la pace di Dio sulla terra.

Ciò che la fede cristiana ci suggerisce di meditare in relazione al mistero della natività di Cristo è l’atteggiamento di Dio verso i suoi figli. Egli ha dato loro la vita affinché potessero sperimentare la gioia di amarsi e servirsi l’un l’altro, eppure gli esseri umani non riescono a trovare la strada verso la felicità. Regnano la divisione, la rivalità e la guerra. L’umanità è nelle tenebre, come accecata, e Dio, il Padre, viene in suo soccorso, come un buon pastore che viene a guidare le sue pecore. Le conduce ad acque tranquille, a pascoli verdi. Ma come può il buon pastore conquistare la fiducia delle sue pecore? Mostrando che è pronto a correre qualsiasi rischio per loro. Così si rende debole tra le creature, si presenta come un bambino, indifeso. Eppure conosce i rischi: la gelosia, l’avidità e la sete di potere saranno immediatamente i suoi nemici. Un re, Erode, intuisce che questo bambino potrebbe minare il suo potere e attenta alla sua vita. Le tenebre si sentono minacciate dalla luce, ma Dio raccoglie la sfida. Affinché la luce risplenda senza fine, non dobbiamo cedere alla vendetta o all’odio; dobbiamo mostrare il volto della pace, del perdono e dell’amore gratuito, fino alla fine.

Settimana Santa

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme

Ingresso di Gesù a Gerusalemme, cupola dell’Ascensione, mosaico di San Marco a Venezia (XII secolo). Gesù cavalca un asino, come avevano predetto i profeti. Per la tradizione ebraica, l’asino è un animale impuro, come lo sono anche le persone di altre religioni. Ma con questo gesto, Gesù intende dire che l’invito di Dio a sperimentare la sua felicità è per tutti i popoli e che non c’è bisogno di distinguere tra gli esseri umani. Abbiamo tutti un’unica fonte di vita e l’amore di Dio è offerto alla moltitudine.

La nascita di Gesù annunciava l’obiettivo della sua missione: portare la luce al mondo, in altre parole, mostrare dove si trova la vera felicità. Non nei beni che si possiedono, ma nell’amore che possiamo offrire gli uni agli altri, un amore che consiste nel dare la propria vita per coloro che amiamo. L’offerta della propria vita può realizzarsi nel servizio quotidiano o nella testimonianza estrema di dare la propria vita, una volta per tutte, di fronte alla persecuzione.
Così, nella Chiesa, per un santo martire che ha offerto la propria vita per la giustizia, celebriamo il giorno della sua nascita sulla terra, ma anche il giorno della sua nascita in cielo, cioè il giorno del suo martirio, della sua morte.
Per il Figlio di Dio, la sua nascita rivela il suo desiderio di venire in aiuto all’umanità e il suo ingresso a Gerusalemme, la risoluzione finale, dove ha scelto liberamente di dare la sua vita. Sapeva, e lo annunciò ai suoi discepoli, che se fosse entrato a Gerusalemme sarebbe stato arrestato, condannato a morte e resuscitato il terzo giorno. Quindi accetta liberamente la passione, accetta di dare la sua vita, quando avrebbe potuto risparmiarla ritirandosi in un luogo tranquillo e appartato in Galilea, vicino alla sua famiglia. Ma sa che per portare luce al mondo, dovrà mostrare l’amore al suo livello più alto, offrendo la propria vita, affinché l’umanità possa sentirsi amata da Dio, nonostante i suoi difetti, i suoi errori e i suoi sbagli.

La relazione con Dio e con il prossimo

Intravediamo il perdono

La Natività. Mosaico di Pietro Cavallini nella chiesa di Santa Maria in Transtevere (XIII secolo). Con la sua nascita, Gesù è venuto in soccorso dell’umanità, portando la luce dell’amore di Dio nelle tenebre di un mondo che non riusciva più a trovare la strada della vita, della felicità. Come il samaritano della parabola che trova un uomo ferito sul ciglio della strada e che, dopo avergli curato le ferite con olio e vino, lo affida alle cure di un locandiere, lasciandogli del denaro. Allo stesso modo, Gesù ha affidato ai suoi discepoli il compito di essere un riflesso della sua misericordia in questo mondo. Ecco perché, in questo mosaico, vediamo una casa con la scritta “Taberna meritoria”, che non solo ci ricorda la taverna del Vangelo, ma anche la storia di questa chiesa, dove un tempo c’era una taverna. Si racconta che, dopo che in questo luogo era sgorgata una sorgente miracolosa di olio, i cristiani ricomprarono la taverna e costruirono una chiesa per aiutare i poveri di questo quartiere disagiato.

Dio viene in soccorso dell’umanità e due parabole di Gesù ci dicono come ci avrebbe salvato. La prima è la parabola del Buon Samaritano:
[Il dottore della legge] disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Allora Gesù disse: “Un uomo stava scendendo da Gerusalemme a Gerico, quando si imbatté in alcuni briganti che lo spogliarono, lo picchiarono e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote stava passando per quella strada; lo vide e passò dall’altra parte. Allo stesso modo, un levita giunse nello stesso luogo; lo vide e passò dall’altra parte. Ma un samaritano che si trovava lungo la strada arrivò, lo vide e fu mosso da compassione. Si avvicinò a lui, gli fasciò le ferite con olio e vino, lo caricò sul proprio cavallo, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, tirò fuori due monete d’argento e le diede all’oste, dicendogli: “Prenditi cura di lui; tutto quello che hai speso in più, te lo restituirò quando tornerò”. Chi dei tre, secondo lei, era vicino all’uomo che cadde nelle mani dei briganti?”. Il dottore della Legge rispose: “Quello che gli ha mostrato misericordia”. Gesù gli disse: “Vai e fai lo stesso”. (Luca 10, 29-37).
Ora, in questa immagine, l’artista Pietro Cavallini ha raffigurato, in fondo al lettino, la locanda alla quale il Buon Samaritano affiderà l’uomo ferito: infatti, accanto alla casa è scritto: “Taberna meritoria”. Secondo la tradizione cristiana, il Buon Samaritano che si prende cura dell’uomo ferito rappresenta Gesù che viene in aiuto dell’umanità, afflitta da ogni tipo di male. Si prende cura di loro e li affida alla Chiesa, cioè a coloro che, avendo riconosciuto l’opera e la presenza di Dio in Lui, saranno trasformati dai sacramenti, rappresentati dall’olio e dal vino. I credenti, discepoli di Cristo, animati dallo stesso spirito d’amore, saranno così un riflesso della Sua misericordia in questo mondo e potranno a loro volta accogliere e prendersi cura dei sofferenti, dell’umanità in difficoltà. Questo è spiegato anche ai piedi dell’immagine, dall’iscrizione in latino: “Iam puerum iam summe pater post tempora natum accipimus genitum tibi quem nos esse coevum credimus hincque olei scaturire liquamina tybrim”. Questa formula non solo riassume la fede cristiana nella divinità di Cristo, ma racconta anche la storia miracolosa della chiesa di Sainte-Marie-au-Trastévère, dove si trova il mosaico. Infatti, la sua traduzione ci dice che in questo bambino che è nato nel nostro tempo, in realtà stiamo accogliendo colui che è il Padre dell’umanità, e che in questo luogo (questa chiesa) è sorto un olio (miracoloso) che è fluito fino all’acqua sporca del Tevere. Secondo la storia di questa chiesa, i cristiani acquistarono una vecchia locanda che ospitava soldati che meritavano di andare in pensione, perché vicino ad essa era sorto un olio miracoloso, e la trasformarono in un luogo di preghiera e di ospitalità per i poveri.
Se guardiamo di nuovo il mosaico, vediamo anche il buon pastore con le sue pecore. Questa parabola di Gesù ci parla anche del suo desiderio di venire in aiuto dell’umanità:
“Se uno di voi ha cento pecore e ne perde una, non lascia forse le altre novantanove nel deserto per andare a cercare quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, la prende sulle sue spalle, tutta gioiosa, e al suo ritorno a casa raduna i suoi amici e i suoi vicini per dire loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che era perduta!”. Vi dico: è così che ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. (Luca 15, 4-8). La tradizione dei primi secoli ci dice che la pecora smarrita è l’intera umanità e che Dio lascia la compagnia degli angeli, le altre 99 pecore, per avventurarsi a salvare la pecora smarrita. Questo è espresso chiaramente anche in un’altra parabola che Gesù racconta a coloro che cercano di intrappolarlo:
“Il ladro viene solo per rubare, sgozzare e distruggere. Io sono venuto perché le pecore abbiano la vita, la vita in abbondanza. Io sono il buon pastore, il vero pastore, che dà la vita per le sue pecore. Il pastore mercenario non è il pastore, le pecore non sono sue: se vede arrivare il lupo, abbandona le pecore e fugge; il lupo le afferra e le disperde. Quel pastore non è altro che un mercenario, e le pecore non contano davvero per lui.
Ma io sono il buon pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e do la mia vita per le mie pecore. Ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste devo condurre. Ascolteranno la mia voce e ci sarà un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io depongo la mia vita, per riceverla di nuovo. Nessuno può togliermela: io la do da me stesso. Ho il potere di darla, ma ho anche il potere di riceverla di nuovo: questo è il comandamento che ho ricevuto dal Padre mio”. (Giovanni 10, 10-18).
Quindi annuncia loro che sarà pronto a dare la sua vita per dimostrare all’umanità la gratuità del suo amore. Non cerca i propri interessi, ma la felicità e la salvezza dell’umanità accecata.

In alto, a destra, vediamo anche un angelo che annuncia a uno dei pastori che erano venuti ad adorare questo bambino il Messia, il Figlio di Dio:“Nuntio vobis gaudium magnum”, “Vi porto una buona notizia di grande gioia”, perché coloro che in seguito riconosceranno la misura dell’amore di Dio per le sue creature, diventeranno a loro volta pastori, portando questa buona notizia dell’amore di Dio per ogni essere umano, E a loro volta saranno pronti a dare la vita per testimoniare l’amore infinito di Dio per l’umanità, anche per l’umanità peccatrice e perduta, la stessa umanità che Lo condanna a morte e che tuttavia riceve il Suo perdono, il dono del Suo amore. Solo allora l’umanità può essere salvata, quando una luce di speranza nel perdono incondizionato di Dio apre una breccia nel cuore indurito, disperato e perduto.

Frase del Padre Nostro

Le iniziali di Cristo inscritte nei tre cerchi che rappresentano la Trinità. Mosaico del battistero di Albenga, Italia (VI secolo). Tre cerchi concentrici in diverse tonalità di colore rappresentano il mistero della Trinità, all’interno dei quali sono iscritte le iniziali del nome di Cristo in greco. Le altre lettere dorate sullo sfondo blu sono l’alfa e l’omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Con questo si intende che la venuta di Cristo in questo mondo manifesta il mistero dell’amore di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo e che, come Figlio di Dio, era eternamente prima che il mondo venisse all’esistenza attraverso la Sua Parola e che continuerà ad essere amore eternamente dopo la fine dei tempi.

Questa immagine ci mostra il mistero della Trinità. Tre cerchi di colori diversi, attraversati dal segno di Cristo, il cristogramma, che combina le lettere greche Khi (a forma di X) e Rho, le iniziali di Khristos. Questo ci ricorda che l’intera creazione è opera di un Dio Trino, un Dio la cui vita è una relazione d’amore, come quella tra genitori e figli. Un amore gratuito, benevolo, ricco di misericordia, questo è l’amore che Dio offre alle sue creature, la sua stessa vita. Nei tre cerchi del mosaico, vediamo anche le lettere Alfa e Omega, che sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco: ci dicono che tutto è stato fatto da Dio prima dell’inizio del tempo, che prima del nostro tempo Egli era, è e sarà, e fa risplendere il suo amore sulle colombe, immagine di coloro che guardano al cielo, a Colui che ci dà la vita, e allo stesso tempo vedono la sua presenza in Gesù Cristo, che ci ha offerto la sua vita e ha dimostrato il suo amore. Entrare in una relazione con Dio, una relazione filiale e di fiducia, è un’illuminazione. Getta una nuova luce sul mondo: un’unica fonte di vita per tutti, un unico popolo di fratelli e sorelle. È allora che osiamo dire: “Padre nostro”, quando il nostro cuore si è aperto per accogliere tutte le creature come fratelli e sorelle, è allora che il Regno dei cieli abita in noi. (Sull’amore del Dio Trino che ci ama come un padre ed è legato a noi come una madre al suo bambino, vedere l’articolo Genesi 1, 2 Ruach – Lo Spirito di Dio è femminile).